Scrivere per altri è un lavoro curioso, e a tratti paradossale. Assomiglia, in fondo, a quello che faceva Cyrano de Bergerac nel dramma di Rostand: prestare parole e pensieri a chi non sa, o non può, trovarli da solo. Anche oggi, chi scrive per aziende e persone agisce un po’ da Cyrano: la sua voce scompare, mentre deve risuonare quella del cliente.
Servono empatia, flessibilità e una buona dose di capacità di adattamento. Quando si scrivono testi per altri, tutto si immagina tranne la parte più difficile: diventare qualcun altro. Ogni cliente ha un’identità precisa, fatta di valori, toni e modi di comunicare. Per questo un buon copywriter non è solo un buon scrittore: è qualcuno capace di ascoltare, di leggere tra le righe, di interpretare ciò che non viene detto esplicitamente.
Un esempio curioso, che può aiutare a capire, lo offre Starbucks: il personale scrive il nome dei clienti sui bicchieri, qualsiasi nome, anche il più lungo e complesso. Non è solo una questione logistica: è un gesto di riconoscimento. Sbagliare significa, anche solo per un momento, non riconoscere davvero chi si ha davanti. Per chi si occupa di scrivere è la stessa cosa: ogni parola deve rispecchiare chi firma, non chi scrive. Anche il dettaglio più piccolo — una parola scelta male, un registro sbagliato, un tono fuori misura — può rompere la magia e tradire la fiducia.

Scrivere per aziende significa entrare in mondi molto diversi tra loro. Un giorno è il blog di un agriturismo, il giorno dopo è il piano editoriale di un brand che vende macchine industriali, quello dopo ancora i social di una piccola azienda a conduzione familiare. Cambiano le parole, cambiano i ritmi, cambiano i canali. Scrivere un post su LinkedIn richiede un registro molto diverso da un post di Instagram, che a sua volta richiede un registro ancora diverso da un articolo di blog. La grammatica e la sintassi sono solo l’inizio: la vera sfida è capire il contesto, il pubblico, l’intenzione che anima ogni messaggio.
Ci sono regole non scritte che ogni copywriter deve conoscere: mai essere più protagonista del brand che si racconta; mai innamorarsi della propria voce al punto da dimenticare quella per cui si scrive; mai dare per scontato che basti scrivere bene per comunicare bene. La scrittura efficace nasce dall’ascolto, dall’osservazione, dalla capacità di adattarsi.
Poi c’è la questione dei temi da affrontare. Capita spesso di scrivere di settori tecnici: logistica, normative, commerciale, cose di cui non si è esperti, dovendo sembrare comunque credibile, soprattutto per platee di fruitori che, invece, esperti lo sono. Allora via di ricerche, domande che ti fanno sentire un po’ sprovveduto, letture che sembrano elementari ma che sono fondamentali per capire e raccontare con chiarezza. In questi casi, è importante sapere quando è meglio approfondire e quando è meglio fermarsi: troppa tecnica allontana il lettore, troppa superficialità lo fa diffidare.
E no, l’AI non basta e probabilmente non basterà mai. Perché la qualità non nasce solo dalla padronanza linguistica: dietro alla capacità di cogliere il sistema valoriale del cliente ci sono ascolto, empatia e curiosità, tutte qualità che l’intelligenza artificiale (almeno per ora) non è in grado di replicare.
Scrivere per qualcun altro è faticoso, ma è anche una palestra. Ti costringe a uscire da te, a esplorare linguaggi diversi, a ragionare con i criteri e i valori di altri. Ti obbliga a metterti continuamente in discussione, ad affinare la tua capacità di osservare e di interpretare. Insomma, ti costringe a mutare pur restando sempre te stesso.
Oggi l’autenticità è un valore sempre più ricercato e affidarsi a professionisti capaci di rappresentare fedelmente la voce di un brand o di una persona è una scelta strategica. Non si tratta di imitare, ma di interpretare; non si tratta di nascondersi, ma di servire al meglio l’identità di chi si racconta.