Si sono conosciute ai tempi della scuola, quando una voleva fare la ballerina e l’altra il medico. Negli anni Novanta nessuna bambina – soprattutto in una grande città operaia come Torino – diceva “da grande farò la casara”. Eppure, a un certo punto, è successo. Silvia Caprini ha ereditato la vecchia stalla di famiglia, un angolo silenzioso tra le colline dell’Astigiano, qualche muro da sistemare, terra da riscoprire. Ci avrebbe potuto fare qualunque cosa. Ma a lei gli animali piacevano e aveva un asso nella manica: la sua vecchia amica Francesca De Pecori, che dopo la scuola era andata a studiare Agraria. “Lo facciamo insieme” si sono dette una sera davanti a uno spritz a pochi passi dalla Mole. Lì è cominciato tutto. Silvia si è spostata con tutta la famiglia (la piccola Aurora e il marito medico), Francesca una famiglia se l’è fatta col tempo proprio lì. Sono partite con un bando regionale sull’imprenditoria agricola femminile per coprire le prime spese e la convinzione che con il latte si potesse costruire qualcosa di buono. I primi formaggi e i primi successi, poi lo yogurt, la panna cotta, la coltivazione della lavanda, il miele. E mille altre idee, come capita a chi ha le mani sempre occupate ma la testa che viaggia. Con i primi soldi del bando si sono fatte fare un bellissimo logo, le etichette, una brochure, un sito. La base era solida, le giornate piene. Mercati e mercatini, carte da firmare, ore e ore tra stalla e laboratorio, e il punto vendita da aprire quando ci si riesce e i figli che crescono. Troppi impegni e un’azienda che – bene o male – funziona: la comunicazione, piano piano, è uscita di scena e dalla lista delle cose da fare.
La fatica è tanta, ma dopo quasi dieci anni la loro creatura, la loro azienda “Le ragazze del latte” è ancora viva. Negli anni, i prodotti sono aumentati e migliorati, la qualità è cresciuta, la reputazione anche: chi assaggia la loro robiola non se la dimentica. Ed è arrivata anche Irene, una terza socia, una ragazza più giovane del posto. Però c’è qualcosa che stona, qualcosa che non quadra. E Silvia se ne è accorta, chiacchierando con le persone al mercato o al punto vendita. La comunicazione è rimasta ferma: il sito lento, la grafica datata, il tono disomogeneo, mancano prodotti nel catalogo e i social sono aggiornati quando capita, senza pianificazione. Cose costruite con passione, ma lasciate andare per mancanza di tempo, di energie, di una direzione chiara. Silvia, Francesca e Irene si confrontano, il solito giovedì sera davanti allo spritz, un’abitudine che è rimasta anche al paese: “dovremmo rimetterci mano, ma non abbiamo tempo e soldi per farlo. E poi l’azienda funziona comunque. O no?”. L’incontro con Fattore Comunicazione è arrivato quasi per caso, grazie a un progetto condiviso da un consorzio locale. Un incarico trasversale, un’analisi esterna, uno sguardo che ha riportato tutto all’essenziale. Silvia e Francesca si sono sedute a un tavolo e hanno rivisto quello che avevano costruito, Irene ha portato un punto di vista nuovo, più locale e più fresco. La fotografia era nitida: c’era molto da salvare, molto da riprendere. Non serviva rivoluzionare, ma ricucire. A partire da quello che già funzionava. Fattore ha lavorato così: con rispetto per il tempo e le risorse disponibili, senza chiedere di cambiare tutto, ma cercando di mettere ordine, di costruire una strategia semplice, concreta, sostenibile. Una comunicazione che potesse camminare con loro, senza rallentarle.
Non hanno smesso di fare nulla, Silvia, Francesca e Irene. Continuano a fare il formaggio, a vendere sul mercato, ad accogliere i clienti nel loro piccolo punto vendita, e mentre una da da mangiare alle bestie l’altra si siede alla scrivania per gestire ordini e fatture. Continuano a svegliarsi presto, a dividersi tra stalla e figli, a sistemare cose che si rompono, a cucinare panne cotte la sera tardi. Ma oggi chi le cerca le trova. Chi passa davanti alla loro insegna, ora riconosce uno stile. Chi visita il sito capisce chi sono, cosa fanno, perché lo fanno così. Hanno una comunicazione che non urla, ma racconta. Che non distrae, ma accompagna. Che non promette miracoli, ma rispecchia con onestà ciò che succede ogni giorno, tra latte appena munto e mani sempre in movimento.
Non hanno smesso neppure quel piccolo rito settimanale, quell’appuntamento solo per loro del giovedì sera. Quella mezz’ora di relax in una vita caotica, a cui dopo più di dieci anni, migliaia di litri di latte lavorati, centinaia di mercatini fatti, Silvia e Francesca non vogliono rinunciare e che è diventato imperdibile anche per Irene. E questa volta c’è un motivo in più per festeggiare, qualcosa di cui essere orgogliosi e soddisfatti: “Guarda il nostro Instagram – dice Silvia – ci siamo proprio noi”. Perché forse è questo il punto: non c’è bisogno di cambiare la storia, o di inventarla, quando la storia c’è già. Basta mettere a fuoco il modo di raccontarla.




