Il carciofo

C’è un uomo seduto a un tavolino. Imperturbabile. Legge il giornale e sorseggia qualcosa di scuro dentro a un bicchiere, mentre intorno a lui sfrecciano le auto. L’uomo è Ernesto Calindri, un grande attore che il pubblico ricorda e ricorderà ancora a lungo per quegli spot iconici e per quello slogan che è entrato nell’immaginario collettivo e nei modi di dire: “Contro il logorio della vita moderna”. La storia dell’Italia degli anni Sessanta, la storia del Cynar.

Del resto, se c’è un posto dove poteva nascere un digestivo (o un aperitivo) a base di carciofi, quello è proprio l’Italia. Basso eppure elegante, spinoso ma dal cuore tenero e saporito: il carciofo è figlio del Mediterraneo e il nostro paese è il maggior produttore al mondo. Dal punto di vista botanico, il carciofo appartiene alla famiglia delle Asteraceae ed è una variante coltivata del cardo selvatico (Cynara cardunculus). Ricco di cinarina, una sostanza amica del fegato, il carciofo vanta numerosi benefici per la salute: è digestivo, depurativo, ricco di fibre e antiossidanti. Non sorprende che sia amato non solo dai buongustai, ma anche da chi cerca alimenti sani e funzionali.
Quantità a parte, l’Italia è considerata la patria di quest’ortaggio anche per la grande biodiversità (centinaia di cultivar) e il forte legame gastronomico, farmacologico e culturale con il territorio (basti pensare ai carciofi alla giudea romani o alla torta pasqualina ligure). Eppure, i consumi sono in calo: in una società che pretende alimenti pret-a-manger il carciofo, con i suoi tempi lunghi di pulizia, viene snobbato. I freschi si mangiano soprattutto al sud e sono acquistati dagli over 55; al nord lo si cerca più che altro surgelato o trasformato.

La storia del carciofo è una lunga avventura che intreccia mito, tradizione e innovazione. Si narra che il dio Zeus, innamoratosi di una splendida ninfa di nome Cynara, la trasformò in un carciofo quando lei respinse le sue avances. E così nacque il nome botanico di questa pianta affascinante. Dalle tavole degli antichi Greci e Romani, dove era un lusso riservato alle classi più agiate, il carciofo arrivò nel Rinascimento per conquistare la nobiltà europea. Caterina de’ Medici, grande amante di questo ortaggio, lo introdusse alla corte francese, dove divenne simbolo di raffinatezza e opulenza. E poi c’è Camillo Benso conte di Cavour: la sua politica di piccoli passi, uno dopo l’altro, venne chiamata proprio “politica del carciofo”.
Nel folklore popolare, il carciofo è spesso stato visto come una pianta dai poteri quasi magici. In alcune regioni italiane veniva usato come amuleto contro il malocchio, forse per la sua struttura complessa e protettiva. Le sue foglie spinose simboleggiavano la capacità di respingere le energie negative, mentre il cuore tenero evocava la promessa di un premio per chi perseverava.

Poi, un bel giorno, il carciofo è uscito dal campi ed è entrato nei manuali di marketing e nella storia della pubblicità. Ci volevano le speranze, la vitalità, l’entusiasmo del secondo Dopoguerra: è il 1948 quando il veneziano Angelo Dalla Molle si inventa questa bevanda. Il primo nome è CaB1, perché la ricetta originale prevede la vitamina B1. Quando inizia la produzione industriale la vitamina sparisce e il carciofo diventa protagonista. Fino a quel carosello degli anni Sessanta, quel signore distinto che beve tranquillo nel traffico (caotico?) che la modernizzazione dell’Italia stava portando nelle strade cittadine. Resterà fisso nella memoria degli italiani anche quando, due decenni dopo, la “Milano da bere” (altro claim iconico) convincerà i pubblicitari a riportare Calindri e il Cynar in campagna. Ma la storia è storia, nessuno la può fermare: Cynar entra nel gruppo Campari, il refrain torna quello del logorio. Siamo negli anni Novanta e poi nei Duemila, la Milano da bere affonda sotto i colpi di Mani Pulite e il bucolico carciofo, simbolo di un mondo contadino idealizzato che si guarda di nuovo con affetto può riprendersi la scena. Serve qualcosa di nuovo, un modo per portare nel presente il vecchio Calindri. Ci pensano Elio e le Storie Tese: colorati, dissacranti, caotici, ma con la capacità di riproporre tutti i must (il tavolino al centro del traffico, il logorio della vita moderna, perfino Calindri che compare sull’ultima pagina di un giornale) in chiave ironica e moderna. L’ultima tappa di questa storia arriva ai giorni nostri, nelle calli veneziane, sugli spalti dello stadio Penzo. La partnership con il Venezia funziona benissimo (lo spirtz al Cynar diventa la bevanda dei tifosi prima e dopo la partita), la maglia è una delle più vendute della stagione (e una delle più belle, tra tanti pasticci senza rispetto della storia), la narrazione fresca e convincente: a chi non viene voglia di arrivare allo stadio dopo uno spritz o due e unirsi ai tifosi dell’Unione?

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